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L’ENAM, perchè farla fuori?

Manovra del Governo: un emendamento cancella l’Ente di solidarietà dei maestri

Comunicato della Presidenza Nazionale AIMC

Con l’approvazione della Commissione Bilancio del Senato, nella seduta pomeridiana del 24 giugno, dell’emendamento presentato dalla senatrice Germontani sembra avviarsi a concretizzazione la fine della storia dell’ENAM.

Per i più, e certamente per coloro che non da ora ne auspicano la chiusura, è soltanto una sigla, anzi un Ente “inutile”. Per i docenti e i dirigenti della scuola dell’infanzia e primaria, l’Ente Nazionale Assistenza Magistrale rappresenta invece l’incarnazione della solidarietà della categoria verso coloro che si trovano in situazioni di difficoltà e bisogno.

Si tratta di un Ente creato e sostenuto dagli stessi assistiti con la quota, obbligatoria, detratta mensilmente dal proprio stipendio. Un’istituzione, quindi, che non rappresenta in alcun modo una fonte di spesa per lo Stato e che appartiene, eticamente, alla categoria magistrale che ne ha costituito, dalla sua fondazione nel 1947 ad oggi, il solido patrimonio immobiliare e mobiliare.

Non sembra corretto, quindi, nei confronti dei circa 300.000 docenti e dirigenti scolastici contribuenti e dei quasi 1.300.000 assistiti (dati dell’Ente), cassare con poche righe in una legge una realtà significativa e ancora attuale, considerando che, non più tardi dello scorso 22 febbraio, il Consiglio di Stato ne riconosceva il ruolo nel sistema sociale nel “[…] sostenere e supportare fasce di cittadini che potrebbero essere non sufficientemente sorrette dal sistema pubblico”.

L’Associazione Italiana Maestri Cattolici, che tanto contribuì alla nascita dell’ENAM, riafferma l’inderogabile etica necessità di coinvolgere democraticamente tutta la categoria magistrale in qualsiasi decisione sul futuro dell’Ente, patrimonio dei docenti e dei dirigenti.

Si auspica, quindi, che le esigenze di cassa ancora una volta non gravino, direttamente o indirettamente, sui professionisti della scuola italiana.

Roma, 25 giugno 2010

La presidenza nazionale Ai

28 giugno 2010 Posted by | Senza categoria | Lascia un commento

La scuola ha bisogno di nuovi Socrate

Un insegnante può cambiare la vita di uno allievo…..Insegnare è una professione ma non è soltanto questo: è una vocazione. Oggi invece la visione burocratica vince sull’educazione.

Arne Duncan, responsabile dell’educazione negli Usa, lancia l’allarme: «Manca oggi una classe di docenti motivati e di talento»

di Arne Duncan*

Nel campo dell’istruzione l’America deve affrontare tre grandi sfide che impon­gono un miglioramento dei pro­grammi di formazione didattica più che mai urgente. Primo, l’istruzione che milioni di americani hanno ri­cevuto in passato non è più al passo con i tempi. In un’economia globale competitiva, persino chi possiede un diploma delle superiori, se non si iscrive all’università, si ritrova con una gamma limitata di possibilità.

Secondo, oggi più che mai dobbia­mo riconoscere la necessità – e il dovere per una scuola pubblica – che tutti gli studenti possano trarre dall’insegnamento tutto il potenzia­le possibile. Allo stato delle cose, tuttavia, ci troviamo ben lungi dal­l’avere conseguito l’agognato obiet­tivo di pari opportunità educative.

Attualmente quasi il 30% dei nostri studenti abbandona la scuola o non riesce a terminare gli studi superiori nei tempi previsti. A malapena il 60% degli studenti afro-americani e ispanici riesce a diplomarsi entro i regolari anni di corso. Se abbiamo a cuore il desiderio di offrire possibi­­lità, di ridurre le disuguaglianze, di promuovere la coscienza civica e la partecipazione, è l’aula scolastica il punto da cui partire.

La terza sfida è l’esodo di massa dal corpo insegnanti da parte delle per­sone nate negli anni del baby boom previsto per il prossimo decennio.

Attualmente contiamo 3,2 milioni di insegnanti che lavorano in circa 95.000 scuole. Nei prossimi quattro anni potremmo perdere un terzo dei nostri insegnanti e funzionari scolastici più esperti, causa pensio­namento e logoramento. La nostra capacità di attrarre, ma, ancor di più, di trattenere i grandi talenti nei prossimi anni lascerà un’impronta profonda sull’istruzione pubblica. È davvero un’opportunità che capita una sola volta nell’arco di una gene­razione. Per mantenere competitiva l’America, e per trasformare in realtà il sogno americano di un’u­guale istruzione garantita a tutti, è nostro dovere reclutare, retribuire, formare, ascoltare e rispettare una nuova generazione di insegnanti di talento. Per ottenere questo è tutta­via essenziale elevare lo standard dei programmi di formazione di­dattica poiché agli insegnanti di og­gi, rispetto anche a soli dieci anni fa, chiediamo molto di più.

Il presidente Obama si è infatti po­sto l’ambizioso obiettivo di far ri­guadagnare all’America, entro il 2020, il primato della nazione che vanta, in proporzione, il più alto numero di laureati al mondo. Per raggiungere tale obiettivo, tuttavia, sia il nostro sistema scolastico sia i programmi di formazione didattica devono migliorare sensibilmente.

La posta in gioco è immensa e il tempo di aggrapparsi al passato è finito. C’è una ra­gione per cui molti di noi ricordano per sempre il proprio insegnante preferi­to. Un grande insegnante può letteralmente cambia­re il corso della vita di uno studente. Gli insegnanti accendono una curiosità che dura tutta la vita, destano il de­siderio di partecipare alla democra­zia e instillano la sete di conoscen­za. Non sorprende che tutti gli studi affermino ripetutamente come sia la qualità dell’insegnante responsa­bile della classe il fattore decisivo per la crescita scolastica di uno stu­dente, e non le condizioni socio­economiche o l’ambiente familiare.

Reclutare e addestrare questo eser­cito di nuovi, grandi insegnanti di­pende fortemente dalle nostre fa­coltà di Scienze dell’educazione. Es­se avranno il compito di formare più della metà dei nostri futuri do­centi.

Le facoltà umanistiche e scientifi­che rivestono un ruolo assoluta­mente essenziale nel consolidare il bagaglio culturale di un futuro inse­gnante. Fatico a capire i rettori e i presidi delle facoltà umanistiche e scientifiche che trascurano i pro­grammi di Scienze dell’educazione delle loro università. Il fatto è che Stati, distretti, e governo federale sono ugualmente responsabili della costante debolezza dei programmi di formazione didattica delle facoltà di Scienze dell’educazione. Gran parte degli Stati membri approvano d’ufficio i programmi delle facoltà che, solitamente, si basano su crite­ri di valutazione degli studenti affi­dati a test scritti senza una reale va­lutazione della loro effettiva prepa­razione all’insegnamento in una classe. Pochissimi Stati e pochissimi distretti monitorano attentamente il lavoro degli insegnanti, valutando se e quali programmi di formazione didattica hanno creato docenti ben preparati e quali invece insegnanti dal rendimento scarso. Dovremmo, da un lato, studiare e riprodurre le pratiche rivelatesi efficaci e, dall’al­tro, esortare gli insegnanti meno ef­ficienti a rivedere il proprio modo di lavorare o a rinunciare a questa professione.

S’è detto spesso che i grandi inse­gnanti sono eroi di cui non sono cantate le gesta, ma a parer mio questa evidente verità ha un signifi­cato profondo. L’insegnamento è u­na delle poche professioni che non è solo un lavoro o addirittura un’av­ventura estemporanea: è una voca­zione. I grandi insegnanti si sforza­no di aiutare ogni studente a sbloc­care il proprio potenziale e a svilup­pare l’atteggiamento mentale che gli servirà per tutta la vita. Essi lavo­rano nella convinzione che tutti gli studenti abbiano un dono, anche quando dubitano di se stessi. Le sfi­de che il nostro sistema scolastico ed educativo deve affrontare sono enormi. Ma altrettanto immensa è l’opportunità di servire al meglio i nostri figli e il bene comune.


* Segretario di Stato all’Educazione degli Stati Uniti

Da Avvenire, 2 giugno 2010, pag. 27

Per saperne di più: Il prossimo numero «Atlantide», quadrimestrale della Fondazione per la Sussidiarietà diretto da Giorgio Vittadini, si occupa della scuola e dell’università costretta a confrontarsi con la crisi economica e il conseguente problema degli investimenti in ricerca e formazione. Non tutti i Paesi stanno agendo nello stesso modo. Agli interrogativi rispondono tra gli altri: Nikolaus Lobkowicz, John Wood, Rafael Sánchez Saus,Vladimir Vorob’ev, Giuseppe della Torre, Carlo Pelanda e il ministro Usa Arne Duncan.

Vedi : http://www.sussidiarieta.net/node/165

3 giugno 2010 Posted by | Senza categoria | Lascia un commento