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RICOEUR: il filosofo del perdono

Ricoeur: il filosofo del perdono

A 5 anni dalla morte, il punto sull’eredità dell’allievo di Husserl e Mounier, teorico di riferimento di Rahner e Congar al Concilio Il discepolo Jervolino: ha usato i «maestri del sospetto» per togliere la maschera a troppe nostre sicurezze Padre Cucci: ma per lui l’essere personale si poteva cogliere solo nella «logica della sovrabbondanza», ovvero attraverso l’economia del dono.

DI FILIPPO RIZZI

Era un venerdì, il 20 maggio di cinque anni fa, quando nelle prime ore del mattino si spegneva nella sua abitazione di Châtenay Malabry, presso Pari­gi, nel complesso edilizio Les Murs Blancs che Emmanuel Mou­nier aveva fatto costruire per i più stretti collaboratori della rivista E­sprit, il filosofo Paul Ricoeur (1913-2005), l’erede spirituale di Edmond Husserl e dell’esisten­zialismo cristiano. Stelle polari della sua formazione furono, non a caso, Emmanuel Mounier, Ga­briel Marcel e Karl Jaspers. Ri­coeur fu, tra l’altro, il filosofo di riferimento per la rivista Conci­lium

nei primi anni della sua na­scita, soprattutto per teologi di rango come Karl Rahner, Yves Marie Congar e Edward Schille­beeckx. Allevato dai nonni nella fede protestante, Ricoeur era nato nel 1913 a Valence ed era stato fatto prigioniero dai tedeschi du­rante la seconda guerra mondia­le. Vicino al socialismo cristiano di André Philip, aveva insegnato in varie università: dalla Sorbona a Lovanio e negli Stati Uniti a Yale e Chicago. Oppositore di ogni for­ma di totalitarismo, memorabili rimangono le sue denunce contro le atrocità perpetuate nelle guerre di Algeria degli anni Cinquanta e di Bosnia nel 1992. Ora, a 5 anni dalla scomparsa, rimangono so­prattutto vivi i suoi insegnamenti di filosofo e di uomo di dialogo a cominciare dai suoi saggi più fa­mosi, solo per citarne alcuni, co­me Finitudine e colpa o Il conflit­to delle interpretazioni. Di questo ne è convinto uno dei suoi più af­fezionati discepoli, Domenico Jervolino, oggi docente di erme­neutica e filosofia del linguaggio all’università Federico II di Napo­li: «Quello che mi ha sempre affa­scinato del suo pensiero è stata la ricerca attorno al tema del sog­getto, della soggettività da ricom­prendere e reinterpretare nel suo rapporto con l’alterità. Forse la sua grandezza maggiore è stata, a mio avviso, quella di credere che la filosofia non deve mai bastare a se stessa ma deve trarre linfa an­che dalle tradizioni ricevute, dalle scienze dell’uomo e dal nostro in­conscio e proprio da tutto ciò che è altro dalla filosofia». Un lascito, quello di Ricoeur, da riscoprire soprattutto per come ha introdot­to la ricerca filosofica nel difficile terreno della psicoanalisi, soprat­tutto quella di stampo freudiano: «Ricoeur trova in Freud l’interlo­cutore privilegiato, che pone in questione una coscienza troppo sicura di sé e mette in gioco an­che le cosiddette ‘pulsioni incon­sce’. Non a caso, assieme a Freud, considera Nietzsche e Marx i co­siddetti ‘maestri del sospetto’ perché capaci di scoprire che sot­to il soggetto c’è qualcosa d’altro, una maschera dove il soggetto ri­sulta essere un ‘testo tutto da de­cifrare’ ». Dal canto suo un altro discepolo, il professore emerito di storia della Filosofia all’università di Roma Armando Rigobello, ol­tre a collocare Ricoeur come «continuatore ideale del persona­lismo comunitario di Mounier, in un certo senso» anche per il co­mune «pudore della testimonian­za », mette in evidenza la sua at­tenzione alla trascendenza non­ché l’affinità al magistero cattoli­co e alla Bibbia: «Ricoeur si è ab­beverato ai testi sacri di cui si fa interprete. Fondamentale in lui l’esegesi della Parola.

Costante è nei suoi scritti il confronto con la trascendenza, la ri­cerca filosofica e l’e­sperienza religiosa. Ri­coeur è soprattutto preoccupato di difen­dere i suoi scritti dal­l’accusa di costruire u­na cripto-teologia, an­che se riconosce che le motivazioni profonde dei temi da lui trattati nascono dalle convinzioni religio­se ». In ultima analisi – è la con­clusione di Rigobello – «la sua fi­losofia è aperta alla trascendenza, anche se non la fonda». Ma per capire nel profondo il pensiero e l’ermeneutica biblica ricoeuriana bisogna affrontare un argomento nodale della sua ricerca: il perdo­no. Proprio su questo tema si è soffermato, con un ampio artico­lo su La Civiltà Cattolica, nel set­tembre  scorso, il gesuita e filosofo della Gregoriana Giovanni Cucci: «Il perdono dice qualcosa dell’es­sere stesso. Per Ricoeur lo si può cogliere soltanto in un’economia del dono, frutto di quella che chiama ‘logica della sovrabbon­danza’. Il perdono ne è il versan­te supremo, esso manifesta il rife­rimento non solo a una colpa commessa, ma anche alla dignità del suo autore, nella fiducia che egli potrà fare di più e meglio di quanto compiuto, potrà essere di­verso da se stesso. Come dice Ri­coeur con una formula suggesti­va: «Tu vali molto più delle tue a­zioni’ ». Un «auditore della Paro­la », un «pensatore responsabile» un «filosofo sulla scia del magi­stero di Giovanni Paolo II»: sono tante le definizioni ma anche i ri­cordi che tornano alla mente del cardinale Paul Poupard, presi­dente emerito del Pontificio con­siglio per la Cultura. La sua amici­zia con Ricoeur è incominciata a Parigi negli anni Settanta, duran­te i molti seminari sull’ecumeni­smo all’ Institut Catholique, e poi è continuata a Castelgandolfo nei tanti convegni estivi con Giovan­ni Paolo II assieme a Hans Georg Gadamer ed Emmanuel Lévinas fino all’ultimo incontro, nel luglio 2003, con la consegna al filosofo di Valence del prestigioso Premio Paolo VI, in Vaticano, da parte di papa Wojtyla; che mise in eviden­za la forte affinità di ricerca di Ri­coeur con l’enciclica Fides et Ra­tio.

«Con quel riconoscimento – rivela il cardinale – si è voluto o­norare il filosofo, amante dei testi sacri, attento alle tendenze più si­gnificative della cultura contem­poranea ma anche un uomo di fede impegnato nella difesa dei valori umani e cristiani». Di quel­la giornata Poupard ricorda un particolare: «Dietro indicazione di Ricoeur l’importo del premio è stato devoluto alla Fondazione John Bost, di area evangelica, che dal 1848 si occupa di handicap­pati, anziani e di altri soggetti in difficoltà, circa un migliaio di per­sone. In quel gesto è emerso il Ri­coeur meno conosciuto, il suo grande stile cristiano dove si ma­nifesta evangelicamente la frase: ‘Coloro che tutti respingono, io li accoglierò nel nome del mio Maestro’. Tutto questo dimostra che era non solo un accademico puro, un idealista ma anche un uomo pratico e attento al prossimo. Per me è stato il massimo filo­sofo del nostro tempo e un uomo di grandis­sima umanità e u­miltà ». La mente del professore Jervolino corre all’ultimo incon­tro a Parigi, un mese prima della morte, con il suo antico maestro: «È stato lucido fino al­la fine. Mi chiedeva sempre della politica i­taliana. Ricordo che e­ra un divoratore di giornali, in particolare Le Monde.

Seguiva le vicende della vita per­ché voleva rimanere vivo fino all’ultimo, mantenersi attivo fino alla fine, contro la passività e tut­te le forme di degrado. In fondo ha esaudito così la sua aspirazio­ne, quella di mantenersi ‘vivo fi­no alla morte’. Un’espressione che ha dato il titolo alla sua ulti­ma opera, pubblicata dopo la sua scomparsa».

in Avvenire, 20 mag 2010 pag. 32

20 Maggio 2010 Posted by | Educazione, Senza categoria | Lascia un commento

EDUCARE ALLA SESSUALITA’, ALL’AFFETTIVITA’, ALLA RELAZIONE

associazione italiana maestri cattolici

EDUCARE ALLA SESSUALITÀ, EDUCARE ALL’AFFETTIVITÀ,  EDUCARE ALLA RELAZIONE

Violenze, stupri in classe, manuali per il “sesso sicuro”, distributori di profilattici a scuola… e, nel contempo, deplorevoli casi di abuso che vengono alla luce.

Quali rimedi? Cosa può fare la famiglia? Cosa può fare la scuola? E gli educatori?

È sicuramente necessario vigilare per evitare ogni forma di violenza, ma ciò non basta. La migliore prevenzione – lo sappiamo bene – è un’efficace educazione. Educatori e istituzioni devono, con competenza e responsabilità, farsene carico e, nella loro opera, dovrebbero essere orientati da una continua formazione, supportati dai mass media e da criteri valoriali comuni.

La società potrebbe cambiare, se si prestasse adeguata attenzione alle problematiche educative e si assicurassero alle persone (specialmente ai più giovani) spazi adeguati per la loro crescita, ove si possa essere educati e aiutati a indirizzarsi verso il bene con adulti capaci di orientare e accompagnare – responsabilmente – le giovani generazioni lungo i sentieri della vita.

È quanto mai opportuna una valida educazione sessuale adeguata alle varie fasi della vita, quale responsabilità prioritaria della famiglia, in interazione con la scuola e con gli altri ambienti educativi. Questa, però, non può essere ridotta a una distribuzione di manuali, né può essere limitata a una serie di lezioni o alla proiezione di qualche filmato e tantomeno delegata alle mille “informazioni” che girano nella Rete e che vengono quotidianamente fruite da gran parte dei nostri ragazzi.

La famiglia, talora, delega tale necessaria educazione alla scuola; la scuola, a volte, la appalta a esperti esterni; gli esperti, spesso, la riducono a fredda istruzione, carente di ogni aspetto responsabilizzante ed educante; stampa, pubblicità e Tv, il più delle volte, “supportano” tale formazione, abbinando la sessualità al gossip, alla violenza, al “mercato”. Il tutto risulta, poi, “innaffiato” dalla cultura del possesso e non da quella del dono, del “faccio ciò che mi piace” e non del “faccio ciò che è bene”, dell’apparire e non dell’essere, del frammento e non del progetto di vita, del relativismo valoriale e non della coerenza.

Ribadiamo, perciò, che l’educazione sessuale debba tendere anzitutto a promuovere una nuova antropologia, orientata al pieno rispetto di ogni persona, e che, quindi, non può essere slegata dall’educazione al senso della vita, dall’educazione affettiva ed emotiva, dall’educazione alla responsabilità.

Riteniamo opportuno, pertanto, sollecitare percorsi adeguati di formazione per quanti hanno responsabilità educative e ribadire la necessità che la scuola, in dinamico rapporto con la famiglia e le altre istituzioni educative, debba prendersi cura di una piena educazione che colga nella sessualità una dimensione propria dell’uomo e della sua realizzazione a cui porre particolare attenzione.

Roma, 22 aprile 2010

La Presidenza nazionale AIMC

22 aprile 2010 Posted by | Educazione, Senza categoria | , , , , , | Lascia un commento

L’ARTE DELLO STUPIRSI, L’ARTE DI APPRENDERE ….

Esprimersi nella contemplazione e nel silenzio

Sveglio o dormiente, in una capanna d’erba, ciò per cui prego è di far fare la traversata agli altri prima di me.                                                                       Eihei Dogen

Il sentiero contemplativo è una piccola via alla libertà interiore attraverso il quotidiano insignificante. Una piccola via senza pretese di completezza, senza appartenenza, senza riti: uno strumento per persone che cercano un senso alle proprie esistenze.

Il sentiero è semplice, fornisce gli strumenti per conoscere la mente e attraverso la consapevolezza, il distacco, la disconnessione, conduce la persona ad un abbandono di fondo. Da quel lasciar andare sorge qualcosa di più vasto della persona stessa, qualcosa che porta con sé una tenerezza nuova e uno stupore per la vita che, quando è vista nella sua autenticità senza il filtro della mente che distorce, è qualcosa di veramente semplice. Allora, e solo allora, appare con evidenza che ogni gesto, ogni parola, ogni emozione portano con sé una sacralità.

L’atto contemplativo è la libertà che si afferma, è l’essere ricondotti alla realtà ultima, alla realtà delle cose, a ciò che è. Più l’atto contemplativo sorge, più crea spazio attorno a sé; è come se quel sorgere mal si conciliasse con tutta l’identificazione, l’attaccarsi alle emozioni, ai pensieri, alle azioni; quando sorge crea spazio e più sorge più si fa largo. Allora, più ti addentri in questo processo, più l’atto contemplativo diventa presente nella tua vita: sorge, sorge, sorge senza che ti sforzi; stai camminando, parlando, ascoltando, stai facendo qualunque cosa e lui sorge.

Ma è aldilà di te, aldilà della tua volontà, aldilà del tuo governo. Tu potresti desideralo, chiamarlo, pregarlo e non viene; non è sotto al tuo dominio. La realtà ti si mostra nella sua intima natura, nel suo essere ciò che è quando vuole, non quando tu lo pretendi o lo desideri.

“In fondo siamo qui per esprimere un soffio, leggero, d’amore.
Oggi, solo oggi, possiamo osare questa espressione senza arrossire,
consapevoli che quel soffio non è nostro “

www.contemplazione.it

”         Cosa sono la meditazione, la contemplazione e la preghiera? Semplicemente un modo di nutrirsi. Grazie ad esse, noi assaporiamo un nutrimento celeste, l’ambrosia, il cibo dell’immortalità. Si tratta di un nutrimento immateriale, ma che ha la sua corrispondenza anche sul piano fisico. Gli alchimisti lo hanno chiamato “elisir della vita immortale“.

Questo elisir è diffuso in tutta la natura, ed è il sole che lo distribuisce. Se in primavera e durante l’estate andiamo ad assistere ogni mattina al levar del sole, è appunto per riuscire a bere la quintessenza di vita che il sole diffonde nell’Universo, e le cui particelle vengono ricevute da rocce, piante, animali e uomini. Tutti gli esseri viventi captano queste particelle inconsciamente, ma gli esseri umani possono imparare a captarle in maniera consapevole in quel fluido che è la luce del sole.”

Omraam Mikhaël Aivanhov

«Contemplazione che sovrabbonda in azione. Ecco la formula che Maritain. ha trovato per comporre in una sintesi superiore le due realtà che qualcuno vorrebbe porre in antitesi.

L’azione vera è solo quella che nasce dalla contemplazione.

E la vera contemplazione porta necessariamente all’azione. Un momento chiama l’altro.      Come la causa si rivela nell’effetto. Come l’amore richiama l’amore. Vivere con l’animo del contemplativo nel tramestio di una metropoli. Ecco l’ideale del cristiano, a cui corrisponde costantemente un bisogno sempre crescente: passare dal dinamismo dell’azione alla luce della contemplazione.

L’orazione, oggi, non può non tener conto dell’azione. Se l’azione rischia di togliere agli uomini il gusto della preghiera può anche introdurre alla preghiera stessa; l’azione può talvolta offuscare la presenza divina, ma spesso ne proclama, anche duramente, la necessità.

Il santo del nostro tempo utilizza l’azione come un perpetuo controllo delle sue incongruenze e delle sue insufficienze. Solo quando l’uomo ha realizzato in sé questa unità è capace di opere veramente valide» (dalla Introduzione).                      J. Maritain, Azione e contemplazione, ed. Borla

ESPRIMERSI E RELAZIONARSI NEL SILENZIO Oggi l’uomo è ridotto ad un’effige vuota che viene scossa dal rumore ed animata dal telefonino. Il mondo esiste perché c’è il rumore e il mondo è rumore. Il silenzio è stato torturato e ucciso.  E con il silenzio è morto il pensiero. Il silenzio era il motore del pensiero, l’energia per funzionare. ….              Il silenzio non è il vuoto. E’ fatto dalla voce del vento che si mescola a quella di un gabbiano che sembra protestare. Nel silenzio si avverte la risacca del mare o il sommesso stormire delle fronde, Nel silenzio si scopre di respirare; si percepisce un mondo che non ha ansia, che non batte come i secondi, monotonamente. Si sentono i propri pensieri muoversi nella testa e si assiste alla nascita di un pensiero che non c’era e che riesce persino a meravigliare. E allora si medita e lo si riesanima, lo si rigira, lo si approfondisce e ne nasce un altro e ci si ritrova  tra una popolazione di pensieri che certo vivono ma non fanno fracasso. …

V. Andreoli, La vita digitale, Rizzoli, 2007

E nel silenzio Dio ti parlerà…..

ESPRESSIONE, STUPORE, MERAVIGLIA, MISTERO ….

E’ un’emozione di fronte all’oggetto interessante, fatta di impressione e di desiderio: l’ impressione di non comprendere e il desiderio di capire.

Lo stupore è la molla della conoscenza, la condizione del pensiero (Guitton 1986), la porta della comprensione artistica, tecnica e scientifica della realtà.

” Tutta  la scienza  ha inizio con la meraviglia: la ricerca scientifica, infatti, prende avvio da problemi pratici e teorici,cioé da aspettazioni deluse, da scoppi di meraviglia” (Antiseri 1985, pag. 16 ).

Il vero  stupore è   una specie di ” innocenza ritrovata, una maniera verginale di concepire  e  di sentire ” (Guitton 1986, p.14);  una ‘”grazia essenziale dell’intelligenza” (G. Marcel), cioé di guardare in profondità (intus-legere).  La prima modalità di educazione allo stupore è la meraviglia dell’adulto documentata nello stile di vita, nei rapporti con le persone,   nel suo essere uomo, nella voglia di imparare e conoscere.

Fattori dell’educazione dello stupore

Spontaneità  ed osservazione,  insieme alla significatività e all’autorevolezza,  sono fattori dell’ incontro, vero e proprio ambito di educazione allo stupore.

Lo stupore è gratuità e distacco. E’ osservazione insistente, totale,  globale, “gratuita”, disinteressata desiderio e capacità di impegnare tutti i propri sensi (non solo quello della vista), la propria intelligenza e la propria energia nel rapporto con la realtà, oggetto di studio, argomento di conversazione –ricerca.In quanto tale è fondamento di ogni incontro, di ogni rapporto.

« Stupore è la circostanza in cui il vedere è costretto a diventare un guardare » (Petrosino, 88)

Osservare è immergersi  nella realtà che  ci circonda con tutto  se stessi, facendo attenzione ai particolari, ai loro legami, al loro rapporto con il tutto, ai loro rimandi essenziali, in modo da non precludersi di andare oltre il dato, di cogliere il di più che che c’é nelle cose, di avvicinarsi  al loro segreto.

Osservare non è solo un registrare, ma un porre attenzione ed interrogare ogni particolare  avendo presente con la coda dell’occhio tutto l’oggetto e il contesto in cui si trova.

Educare i ragazzi allo stupore è anche educarli ad una lettura dei loro bisogni, ad una “morigeratezza”( Xodo 1995, p. 64), alla ” povertà”  ovvero al distacco tra sé e le cose per meglio comprenderle e conoscerle.

Per conoscere occorre, infatti,  un distacco, una giusta distanza.

Senso del mistero

Educare allo stupore è dunque anche educare al giusto distacco, ad uno sguardo capace di cogliere l’intero orizzonte umano e quindi di provare ” la più bella e profonda emozione” che è il senso del mistero: “sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza” (Einstein).  Distacco da se stessi, dai propri schemi, dalle proprie opinioni…

‘Stupirsi’delle cose è tenere sgranati gli occhi sul reale e vedere le cose come per la prima volta, nel miracolo del loro esserci e della loro forma. Non per nulla lo stupore è stato definito “desiderio di vedere” (Heidegger)

“Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti ” ( Einstein 1982, p. 22).

LO STUPORE E’LA FONTE DELLA CONOSCENZA:
LO STUPORE è “la meraviglia, più che il dubbio, la fonte della conoscenza” (A.J.Heschel) ; ” La  prima condizione per  imparare a  pensare e  quella di coltivare in  sé la facoltà dello stupore” (J. Guitton)  ;“L’ ammirazione e il desiderio d’imitare costituiscono le più potenti risorse dell’apprendimento (J. Guillaumin)

Come insegnare lo stupore?

Innanzitutto comunicandolo (mettendolo in comune) e pro-vocandolo in una relazione positiva, caratterizzata da umanità condivisa  e da una mentalità capace di considerare tutti i bisogni e le esigenze dell’uomo.

– educare l’attenzione ;  sviluppare la “curiosità”,  promuovere motivazioni intrinseche, guidare all’osservazione (stima,  intelligenza del particolare,  giudizio sintetico, giusto distacco),  favorendo il contatto con tutta la realtà mediante la consegna di un’ipotesi esplicativa di essa ragionevole e affascinante.

Senza l’educazione allo stupore, senza l’insegnamento dell’arte dell’ammirare, non c’è introduzione alla realtà (cioé educazione), non c’é  insegnamento del metodo di studio, perché l’homo faber, trasformato in homo tecnologicus,  non lascia spazio all’homo theoreticus. (Xodo 1995), ovvero all’uomo appassionato del sapere puro, della conoscenza disinteressata (Reboul 1988).

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11 aprile 2010 Posted by | Educazione | , , , , , | 4 commenti

QUALE EDUCAZIONE SESSUALE?

Violenze, stupri in classe, distributori di profilattici  a scuola …. e, nel contempo i deplorabili casi di pedofilia che   in vari ambienti vengono alla luce  ….  Quali rimedi? Cosa può fare un educatore? Cosa può fare la scuola?  E’ necessario vigilare per evitare ogni forma di violenza, per fermare chi opera violenza, ma ciò non basta. La migliore prevenzione, lo sappiamo bene, è una efficace educazione. Educatori ed istituzioni debbono, con competenza e responsabilità, farsene carico. E nella loro opera dovrebbero essere supportati dai mass media e dallo stesso ‘pensar comune’. Non è tanto la spasmodica  e talora interessata e famelica ‘caccia al lupo’ che può risolvere i problemi. La società cambia se si presta adeguata attenzione alle problematiche educative e si assicurano alle persone (specialmente ai più giovani) spazi adeguati per la loro crescita, ove si possa essere educati ed aiutati a sfuggire il male e ad indirizzarsi verso il bene,  con adulti capaci di vigilare, orientare ed accompagnare – responsabilmente- le giovani generazioni lungo i sentieri della vita.

Si parla tanto  di prevenzione e di educazione sessuale. Ma questa può essere ridotta ad una pura e semplice informazione centrata sull’uso dei contraccettivi, come se la sessualità riguardasse principalmente preservativi e pillole da usare al momento opportuno.  Può essere ridotta a 4 lezioni via  internet di “Sesso e volentieri” o alle mille informazioni che girano per la Rete che che vengono quotidianamente visitate da gran parte dei nostri ragazzi? Possiamo fare la politica dello struzzo?

Le famiglie delegano tale  necessaria educazione alla scuola, la scuola la scarica spesso sugli esperti esterni, gli esperti talora la riducono a fredda istruzione carente di ogni aspetto responsabilizzante ed educante. Nel contempo stampa e TV ‘supportano’ tale informazione con il pettegolezzo, la violenza, l’erotismo e finanche la pornografia.  Il tutto viene ‘innaffiato’ dalla cultura del possesso e non da quella del dono, del ‘tutto subito’ e non della paziente e saggia attesa, del ‘faccio ciò che mi piace’ e non del ‘faccio ciò che è bene’, dell’apparire e non dell’essere, della paura e non del coraggio, del frammento e non del progetto di vita, del relativismo valoriale e non della coerenza.

Può essere l’educazione sessuale slegata dall’educazione alla vita,  dall’educazione affettiva ed emotiva,  dall’educazione al pieno rispetto della persona ?

A proposito, ecco alcuni interventi , che non vogliono essere esaustivi, ma soltanto stimolare il dibattito e la riflessione:

Moralisti inglesi e pedofilia

Accadde a Niscemi

Giovani e sesso

Card Bagnasco

Apriamo gli occhi

Famiglie da rieducare

7 aprile 2010 Posted by | Educazione | Lascia un commento

NOTES quindicinale di notizie scolastiche ed associative

NOTES 4 – 2010- Seminario 17 aprile – Conferenza nazionale – Iniziative culturali       Leggi: 4 Notes per pdf

NOTES  5 – 2010 – La pastorale della scuola di fronte all’istanza educativa (Atti del Convegno nazionale di Pastorale scolastica)  – Leggi : notes 5/2010

NOTES 6  – 2010 – La pastorale della scuola di fronte all’istanza educativa – Notes 6/2010

7 aprile 2010 Posted by | Educazione, NOTES | , , , , , , | 1 commento